PHARMACOPEA - dal campionario 'patafisico di A.L. - Aprile 2015

 

"Pharmacopea, dal campionario 'patafisico di Alfonso Leto" con un testo di Fulvio Abbate.
 Farmacia del Viale, Agrigento. Inaugurazione: venerdì 10 aprile 2015.  Fino al 9 Giugno.

"La Farmacia del Viale, grazie alla sensibilità e all’anticonformismo dell’amico Paolo Minacori  (arteamatote, oltre che animatore dei programmi espositivi delle Fabbriche Chiaramontane), costituisce per alcune mie opere un’altra tappa di quel mio percorso avventuroso, e  senza alcun dubbio salutare, che mi ha indotto a riguardare a ritroso la mia produzione alla ricerca di indizi farmaceutici e ‘patafarmaceutici in cui il il lenimento, la sua proiezione nel mondo dell’immagine e dell’immaginario, come bene spiega Fulvio Abbate, bene si coniuga con la sempiterna aspirazione druidica dell’artista che non smette mai di usare i suoi  “medicamenti” per liberare l’immagine dalle sue eterne afflizioni." (dalla nota in catalogo di Alfonso Leto)



Alfonso Leto: Pharmacopea, dal campionario 'patafisico di Alfonso Leto
testo in catalogo di di Fulvio Abbate

  Il tema medicale, e dunque farmaceutico (o perfino farmacologico, nel senso di una metafora della guarigione dal senso comune culturale) non è nuovo nel mondo della pittura, quindi dell’arte. Già nel tardo medioevo i pittori stessi erano inscritti alle corporazioni degli alchimisti e dei farmacisti, il fatto è noto.
  In tempi a noi più vicini, giusto per citare l’Italia, basterà ricordare l’astrattista Giulio Turcato che negli anni Sessanta dello scorso secolo prese a incollare delle compresse (Valium, o semplici aspirine?) sulle tele, intitolando quel ciclo di opere “Tranquillanti”.  La sensazione era comunque pittorica, nel senso che le pillole, lì sul campo scuro, sembravano diventare gli astri luminosi a presidio di un cielo notturno.
  Con Alfonso Leto, la pillola, la compressa, la goccia, il cachet, la soluzione unica, la fila da aerosol e ogni altro composto farmaceutico diventano le ostie della libera religione dell’arte, anche in senso ‘patafisico, ossia come scienza delle soluzioni mediche immaginarie. Così anche le sue preziose feci di ceramica smaltata tempestate di stelline dorate: anticorpus celebrativo e ‘patafisico di qualsivoglia assunzione orale. Quanto invece agli astucci metallici delle antiche siringhe precedenti l’avvento della post-modernità monouso, possiamo pienamente ritenerli gli ideali reliquiari e tabernacoli delle magiche particole della libertà espressiva, con tanto di repertorio iconografico per una iconostasi contemporanea dell’ateismo, che si concede persino il lusso di fantasticare a propria immagine la divinità..
Alfonso Leto guarisce così la pittura dalle paure di scoprirsi pienamente libera. Anzi, grazie a Leto l’arte non conosce più crisi di panico, visto che il Panico è l’arte stessa.















Post popolari in questo blog

ALFONSO LETO: gli anni Ottanta per un giorno

"Costantino Chillura - oltretutto"